Eseguito dai poliziotti della Sezione Investigativa del Commissariato di P.S. di Alcamo il decreto di sequestro preventivo emesso dalla Sezione per il riesame dei provvedimenti in materia di sequestro del Tribunale di Trapani che ha accolto parzialmente l’appello della Procura della Repubblica di Trapani contro il rigetto disposto dal gip del Tribunale di Trapani.
Lo scorso 23 febbraio infatti, è stata depositata la sentenza del Tribunale di Trapani che ha ribaltato l’ordinanza emessa dal gip lo scorso 8 gennaio che aveva rigettato la richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica sulla scorta delle indagini del Commissariato di P.S. Alcamo nell’arco temporale tra il 2018 ed il 2019 sul fenomeno del caporalato.
Le prove raccolte dagli investigatori, costituite da intercettazioni telefoniche, servizi di osservazione e deposizioni delle parti offese, hanno evidenziato come, oltre all’illecita attività di reclutamento, sussistevano le condizioni di sfruttamento di un lavoratore e dell’approfittamento del suo stato di bisogno da parte dei caporali e del datore di lavoro. Il Tribunale per il riesame ha ritenuto sussistente il fumus in relazione a tutti i reati contestati, compreso quello di associazione a delinquere, decidendo di accogliere parzialmente l’appello proposto dalla Procura della Repubblica di Trapani che ha così ottenuto il sequestro delle imprese agricole riconducibili a tre uomini alcamesi e a un pregiudicato mafioso di Castellammare del Golfo, attualmente detenuto, e il sequestro di due auto riconducibili all’imprenditore agricolo C.V. e al caporale che è padre di uno degli indagati e tutt’ora sottoposto a misura cautelare personale nell’ambito della stessa indagine.
In assenza di ricorso da parte di alcuni degli indagati, il provvedimento è diventato esecutivo e ha colpito l’impresa individuale del pregiudicato mafioso – compreso un veicolo che ha utilizzato per trasportare gli operai – il cui compendio aziendale risultava intestato alla moglie, e un’auto utilizzata dal caporale.
Sono 11, in totale, gli indagati coinvolti nell’indagine, denominata “Black Economy”, che ha interessato principalmente il territorio di Monreale, Alcamo e quello limitrofo di Calatafimi e Castellammare del Golfo e che ha portato alla luce l’impiego, per lo svolgimento di attività agricole di diversa natura, di mano d’opera non contrattualizzata, spesso straniera, reperita in centri di accoglienza per migranti o, comunque, sempre proveniente da settori particolarmente disagiati della comunità locale.