C’è stato un tempo, più o meno anni Settanta, in cui Trapani fu ricoperta di talento cestistico. Talento che finì, purtroppo, sprecato. Riflettevo sulla circostanza qualche giorno fa, quando su facebook, fra gatti e proclami a cinque stelle, è affiorata una foto in bianco e nero. Una vecchia foto dell’Edera Trapani: giocatori in borghese, sorridenti, sullo sfondo il Maschio Angioino a Napoli, verosimilmente domenica mattina, quando si andava a passeggio per la città invece che in palestra a tirare, come si fa oggi.
Dovrebbe essere una foto della stagione 1978-79: in quell’anno Edera e Rosmini avevano unito le forze: una specie di compromesso storico cestistico fra repubblicani e preti. Pochi mesi prima, in uno spareggio a Reggio Calabria, Trapani aveva perso contro Ragusa il treno per la serie B. Unirsi per riprovarci, insomma.
Quei ragazzi avevano un’età compresa fra i 18 e i 21 anni, tutti già protagonisti nelle loro squadre. Era un tempo in cui, quei giovani talentuosi, trovavano sbarramenti granitici nelle loro famiglie: sport visto come perdita di tempo, l’opposizione giungeva a volte fino alla distruzione dell’attrezzatura, come qualcuno di quei ragazzi potrebbe raccontare.
Viene da domandarsi cosa ne sarebbe stato, di quei giovani, se avessero avuto un’opportunità, in casa propria o da qualche altra parte, per trasformare la passione per la pallacanestro in un lavoro vero, o meglio, per raccogliere soddisfazioni che tanti loro coetanei, spesso meno dotati, raggiungevano con facilità in altre parti d’Italia.
Prendete il secondo in piedi da sinistra, Peppe Grasso. Nella decina di finali nazionali giovanili conquistate in serie dalla Rosmini in quegli anni, Grasso aveva sempre conteso a Francesco Mannella la palma di miglior play-maker. Tiro, visione di gioco, gran forza fisica: capace di segnare un canestro un paio di passi dopo la linea di centrocampo, con un normalissimo arresto e tiro, a spezzare il polso come s’insegna nei libri, e non con quell’esecuzione disperata, lancio a due mani dal petto, come generalmente siamo abituati a vedere. Un’occasione Grasso la ebbe, nel primo anno di B della Pallacanestro Trapani. Ritrovato prodigiosamente proprio Mannella, questa volta come compagno, avrebbe dovuto esserne il cambio. Invece non giocò mai, difficile dire se per sue colpe o sfiducia da parte dell’indimenticabile Mimmo Trivelli (che pure in quella squadra lo volle, preferendolo ad Ernandez).
Qualche soddisfazione l’ha invece raccolta il secondo accosciato da sinistra, Enzo Naso, che nella foto sembra Mel Gibson da giovane. A Marsala, negli anni migliori del basket marsalese in serie B, Naso c’era e giocava tanto, in quel mix di giocatori arrivati da fuori (Valentinetti, Samoggia) e locali (Provenzano, Parrinello, Adamo, Pipitone), con l’apparizione nel tempo anche di grandi campioni quali Mauro Cerioni e, più avanti, Mike Sylvester.
Che spreco, invece, per il secondo seduto da sinistra, Andrea Magaddino. Mano morbidissima, faceva sempre canestro, ala classica con un tiro che, scagliato un paio di passi oltre la linea da tre punti (che al tempo non esisteva), era una sentenza. Giocò per una stagione la B a Salerno, ma ebbe la sfortuna di incappare in una squadra sfigatissima, e predicò nel deserto. Poi non raggiunse l’accordo economico con Vincenzo Garraffa, sul nascere dell’epopea di quella squadra, e finì a Palermo. Uno spreco, appunto, perché di certo avrebbe giocato in B e poi in B d’eccellenza e, chissà, in serie A.
Come sentenziò Aldo Giordani, in uno dei suoi formidabili e temuti “pallini” su Superbasket, a lungo la bibbia del basket italiano e non solo, fosse stato dieci centimetri più alto, quel ragazzo alla sinistra di Magaddino, Paolo Mollura, avrebbe spaccato in due i migliori pivot italiani. Dal basso del suo 1,90, li aveva infatti ridicolizzati in una finale nazionale a Monza, tanto da essere incluso nel primo o secondo miglior quintetto a conclusione della manifestazione. L’occhio esperto di Giordani aveva notato quel giovane che si era costruito un gran fisico lavorando duro, con un tiro immarcabile, dal carattere feroce ma al tempo stesso sempre sorridente. Il figlio, oggi, sta provando a risarcirlo.
Gli ultimi due della fila sono Matteo Grimaldi e Liberale Ernandez, meno dotati dei compagni già citati, ma orgogliosamente presenti in una stagione, e in un play-off, che fece da prologo ai dieci anni indimenticabili della pallacanestro trapanese. Grimaldi ed Ernandez c’erano in quel 1982-83 che condusse Trapani alla prima promozione in B. Di più, Grimaldi può raccontare d’essere stato in campo (insieme a Totò Campolattano, Fabio Tartamella e Fedele Costadura) in una delle più importanti partite della storia della pallacanestro cittadina, nella parte finale di quei tre tempi supplementari contro la Virtus Ragusa, 135-130, in quattro contro cinque a strappare coi denti l’1-0 poi decisivo in quei play-off.
E’ stata la nostra meglio gioventù? Generalizzare non si può, ma forse sì, perché i mezzi erano pochi, scarse come raccontato le opportunità, per sfondare necessaria molta fortuna, per non parlare della già citata opposizione familiare, in un tempo in cui i genitori non erano amici dei figli, né pretendevano di farne a tutti i costi dei campioni e una partita non andavano mai a vederla.
E’ andata così, ma quei ragazzi possono almeno raccontare d’essersi divertiti molto, in quegli anni e in quelle avventurose trasferte, con pochi soldi e senza pressioni.