Foto archivio Roald Lilli Vento.
Novembre 2003. Dalla buca delle lettere spunta l’angolo di una busta grigia. La tiro fuori bruscamente e si lacera: sembra una notifica, anzi è una notifica. Apro il foglio con una certa apprensione e leggo: “citazione teste nel procedimento penale contro Dell’Utri Marcello+1, in qualità di testimone della difesa di Marcello Dell’Utri”.
Sì, avevo capito bene, quel Marcello Dell’Utri lì: il senatore bibliofilo, il braccio destro di Berlusconi, il re di Publitalia, l’inventore di Forza Italia. Cos’era quel processo? In estrema sintesi: nel 1990 la Pallacanestro Trapani era stata sponsorizzata dalla Birra Messina, gruppo Dreher. La pubblicità di quel gruppo era curata da Publitalia, Fininvest, per capirci. L’accusa sosteneva che sponsorizzarono per una cifra enorme, fuori mercato per l’A2 dell’epoca, solo per pretendere la restituzione della metà della somma in contanti. Creazione di fondi neri, per intenderci. La Pallacanestro Trapani ne restituì una piccola parte, si tenne il grosso. Siccome non cedeva alle pressioni, una mattina Vincenzo Garraffa trovò al suo studio in ospedale il boss Vincenzo Virga (ma al tempo non era certo fosse il capomafia di Trapani), che gentilmente lo pregava di pagare. Come mai Garraffa non pagò e non gli successe nulla? Perché anni prima, sempre in ospedale, Garraffa aveva salvato la vita al figlio di Virga. Questo ciò che Vincenzo aveva raccontato ai magistrati, questo l’oggetto di quel processo a Milano.
Nel pomeriggio, ridacchiavo coi miei colleghi: “Proprio io che avverso Forza Italia e la destra al governo (ma al tempo non potevo sapere cosa si sarebbe verificato quindici anni dopo), chiamato come testimone dai difensori del bibliofilo”. L’intervento di Michelangelo mi gelò: “Io al tuo posto farei meno lo sbruffone. Per un giornalista, in un processo penale, passare da testimone a imputato è un attimo”.
Già, ma cosa sapevo io di quella brutta storia? O meglio, cosa sapevo io nel ’90 o ’91, mentre i fatti accadevano? Praticamente nulla. Era stata forse l’unica volta che una notizia riservata era rimasta tale. Ci avevano raccontato che Birra Messina aveva offerto a prolungamento della sponsorizzazione una somma irrisoria, e dire che avevamo conquistato, stupendo l’Italia intera, la promozione in A-1, prima squadra siciliana nella storia. Assistevamo, stupiti, all’embargo creato attorno alla società: nessuno voleva sponsorizzarla. Sponde politiche? Zero, anzi dalla Regione soffiava vento avverso. Poi, quando il bubbone esplose, tutto fu più chiaro, ma nel ’90 e ’91 ne sapevamo poco e scrivevamo pezzi indignati ma fumosi. E allora, cosa volevano da me? Per scoprirlo, occorreva andare a Milano.
Sveglia a notte fonda, in auto a Punta Raisi, aereo per Linate, taxi per il tribunale. Aria grigia e triste a Milano, aria grigia e triste in tutta Italia: è il giorno dei funerali, a Roma, delle vittime dell’attentato a Nassirya. Percorro quei corridoi immensi, dieci anni prima inquadrati ogni giorno durante le inchieste di Mani Pulite. Raggiungo l’aula dove si terrà l’udienza. Attendo. Mi chiamano subito. Seggo davanti al presidente, alla mia sinistra i legali del bibliofilo. Uno di carnagione olivastra – l’avvocato cattivo -, l’altro pallido – l’avvocato buono -. A destra il pubblico ministero. Scatta in piedi l’avvocato cattivo, sventolandomi sotto il naso un foglio di giornale con un mio pezzo di tredici anni prima, più o meno. Avevo scritto che la sponsorizzazione ammontava a circa 700 milioni di lire. Come l’avevo saputo? Chi me l’aveva detto? “Avvocato – rispondo -, a parte il fatto che quello era l’importo medio delle sponsorizzazioni di squadre di scarso rango, e che quindi l’avevo sparata sperando d’imbroccare, la sede della Pallacanestro Trapani non era paragonabile a quella, per esempio, dell’Olimpia Milano o della Juventus, dove occorreva il pass per entrare. Quella trapanese era un porto di mare dove bastava annusare un po’ in giro per raccogliere notizie”. L’avvocato cattivo capisce l’antifona e s’incazza come una iena, alza la voce, tanto da indurmi a chiedere soccorso al presidente, persona saggia e paziente, che lo zittisce.
Sventato l’assalto dell’avvocato cattivo, resto in balìa del presidente e del pubblico ministero, che mi pongono domande solo apparentemente ininfluenti. Così stimolato, ricordai di quella volta a Torino, ottobre ’91. Chiuso in albergo in una freddissima domenica mattina, ammiravo i giocatori del Torino e soprattutto Mondonico, non trovando il coraggio d’andarmi a presentare a quel grande allenatore. Quel giorno arrivò trafelato un manager di Publitalia, a parlare di quella sponsorizzazione con Garraffa e Vento. Si appartarono, uno mollò quasi subito, l’altro continuò, poi ci raccontarono che non avevano concluso niente.
Ricordai che poche settimane dopo, questa volta a Milano, in una affollatissima conferenza stampa era stata presentata “L’Altra Sicilia”, ovvero lo slogan stampato sul coprimaglia della Pallacanestro Trapani. Idea partorita da un’agenzia pubblicitaria milanese, ingaggiata per trovare lo sponsor a stagione cominciata. Ogni tanto telefonavo alla garrula manager di quella società, a ricavarne discorsi vuoti ma lunghi un quarto d’ora. Quel che si percepiva era la potenza di quell’embargo, inspiegabilmente condotto contro un piccolissimo club. La fine è nota: lo sponsor non spuntò. Ma lo slogan “L’Altra Sicilia” bucò eccome, tanto che la mitica Gazzetta dello Sport di Cannavò mise in prima pagina la foto.
“Cosa significava quello slogan”, chiese il pubblico ministero. “L’Altra Sicilia era quella piccola società, giunta ai massimi livelli senza aver mai avuto rapporti cordiali con certa politica. Chi l’osteggiava? Personalmente pensavo alla Regione, non precisamente un avamposto antimafia”.
Infine ricordai che ci avevano detto che Vincenzo, ai primi di novembre, sarebbe stato ospite all’allora popolarissimo Maurizio Costanzo Show, e si sarebbe portato dietro quel coprimaglia. Poi ci avevano detto che quell’invito era stato misteriosamente prima rinviato, poi annullato.
Quando l’esame finì, mi accorsi che il pubblico ministero sorrideva e l’avvocato cattivo schiumava rabbia. Chissà perché, mi chiesi.
Il presidente sospese l’udienza e io, stremato, andai a cercare una bottiglietta d’acqua. Al ritorno mi venne incontro il fin lì silente avvocato buono.
“Ascolti un po’, Castellano”
“Mi dica pure, avvocato”
“Se io dicessi…” e giù una tesi difensiva che mi parve strampalata.
“Mah, avvocato, non mi pare che regga”, risposi argomentando.
“E se dicessi, invece, che non hanno voluto sponsorizzare perché la Pallacanestro Trapani era una squadra debole destinata a fare cattiva figura?”
“Mi pare una stupidaggine, avvocato. A parte il fatto che l’impresa della promozione aveva ricoperto di simpatia quella piccola società, e poi dovrebbe sapere che i soldi dello sponsor arrivano prima che si faccia la squadra, e con quei soldi la si fa più forte. In genere funziona così”.
Ero stupito che l’avvocato del bibliofilo chiedesse consigli a me, modesto cronista di provincia.
Toccò a me. “Ascolti un po’, avvocato”
“Mi dica pure, Castellano”
“Come la mettiamo con le spese, mi avete convocato voi, ma i soldi li ho spesi io, aereo, taxi, ristorante…”
“Ah, già, che sbadato, avevo dimenticato, tocca a noi rimborsarla. Mi invii le ricevute e le faccio il bonifico”.
Io inviai, lui bonificò. Puntualissimo.
Il presidente riprese l’udienza, chiamò un altro testimone, che conoscevo. Ma ne avevo abbastanza e me ne andai, nell’unico posto degno di essere visitato in quella triste giornata.
Raggiunsi lentamente piazza Fontana, e mi fermai davanti alla lapide in ricordo della strage fascista, 12 dicembre 1969, che diede il via alla cosiddetta strategia della tensione e a quindici anni circa di lotta armata. Ci trovavo un’assonanza con quella giornata, chissà perché, mi chiesi, mentre mi guardavo attorno alla ricerca di un taxi.
(Il bibliofilo, in quel processo, se la cavò. Condannato in primo e secondo grado per tentata estorsione, le successive contorsioni processuali, fra annullamenti in Cassazione e nuovi processi d’appello e di nuovo in Cassazione, lo condussero nel 2012 all’assoluzione mentre già incombeva la prescrizione. Ma fu in seguito condannato a 7 anni per un reato più grave, concorso esterno in associazione mafiosa. Segno che il bibliofilo, nel corso della sua straordinaria vita, qualche mafioso l’aveva pur dovuto frequentare).