“Perché mio figlio sta sempre davanti i videogiochi?”
Questa è la domanda forte che mi porta C., una signora di fantasia, una madre con un figlio di 23 anni (l’età è del tutto casuale, così come C è una lettera scelta a caso, così come questa storia è del tutto inventata, anche se molto verosimile).
La domanda è forte perché di base c’è una scelta precisa di un ragazzo, ed è una scelta di non – vita, di assenza di esplorazione verso il mondo esterno, ed è una scelta, purtroppo, dicono i dati statistici, sempre più comune. Proviamo a rispondere a questa domanda: perché il figlio di C. sta sempre davanti i videogiochi?
Premessa fondamentale: tutte queste forme di evitamento, scriviamolo chiaramente, di per sé non sono patologiche, così come giocare ai videogames non è patologico. Non correte a buttare i dischetti, i PC, gli smartphone, dei vostri figli o figlie, ve ne prego. Non sono mai gli oggetti, quanto gli usi che facciamo delle cose a farci / fare del male, ma soprattutto i poteri e le funzioni che diamo alle cose e che esse assumono per noi. Ed è proprio questo il tema principale:
L’alcool, la droga, il gioco d’azzardo… tutto ciò che rientra nell’ambito “dipendenze” riporta inevitabilmente il pensiero di noi psicologi alla “regolazione emotiva”, ovvero a quella capacità della persona di regolare, gestire, affrontare la sua attivazione emotiva in maniera autonoma. In poche parole, se abuso di alcool o gioco tutto il giorno al PC, allo smartphone o con altri device, lo faccio perché bere mi calma, mi colma un vuoto, perché giocare al PC mi fa smettere di pensare, di provare emozioni, mi estrania dalla realtà che vivo (che diciamocelo, a volte, sa essere veramente brutta). L’oggetto diventa un modo, acquisisce una funzione importantissima per me. Una stampella per vivere.
Fino a qui, è tutto abbastanza lineare, e questo a C., era chiaro fin da principio: se suo figlio gioca tutta la notte ed il pomeriggio – perché la mattina dorme – a Call Of Duty Warzone, lo fa perché non vuole stare realmente e profondamente nella relazione con l’Altro, che quest’altro sia la famiglia, una ragazza, un gruppo di amici, poco importa. O almeno, questa è la sua idea. In realtà molte volte dietro ai PC, c’è un vero e proprio mondo in grado anche di parlarci, di dirci molto della persona che abbiamo davanti. Ammesso che il figlio di C., accetti di parlare di sé, del suo personaggio preferito, del suo ruolo preferito, degli amici con cui gioca, di cosa gli piace di quel gioco, di quell’anime che sta guardando, del perché lo emoziona così tanto. In realtà dentro quel PC o quella Playstation, molte volte, si nasconde un mondo di amicizie coltivate online, in rete, compagni di viaggio, di avventure e di partite. Solo che, però, sono amicizie che sono prive di quel contatto emotivo proprio delle relazioni in carne ed ossa, di esperienze vissute nel mondo reale. Quell’esplorazione tipica dell’adolescenza del mondo, avviene solo online. E questo, purtroppo, finisce col non fornire gli strumenti successivi per vivere appieno la propria vita dopo. Il figlio di C., in sostanza, da quella camera non vuole proprio uscire.
Videogames addiction disorders
Andiamo un po’ più in fondo: la VGA, da DSM – 5 (il manuale che noi tutti Psi utilizziamo per le patologie mentali) parla di videogame addiction disorder. La VGA può essere definita come l’uso problematico, compulsivo e dipendente per un periodo di tempo molto lungo, di videogiochi o altri device interattivi, capace di causare un deterioramento profondo nella qualità di vita dell’individuo. Il cardine principale intorno a cui ruota tale disturbo è proprio la mancanza di autocontrollo rispetto all’area del “videogiocare”. L’individuo passa da fruitore attivo della sua esperienza di gaming a fruitore passivo. Se non gioca direttamente, guarda altri giocare, e quando gioca è in realtà qualcosa di ripetitivo, costante, ed uguale, adottato in maniera meccanica. Non sta giocando attivamente, è un fruitore passivo.
La nostra storia di fantasia prosegue e come ogni madre che vuole bene al figlio, ma non sa come agire, fa qualcosa di istintivo: l’intervento di C., è tempestivo e forte, e solo apparentemente sembra essere risolutivo.
“il male è quel PC che maledetto il giorno in cui te l’ho comprato!”.
Così, lo butta. Un azione comprensibilmente dovuta all’esasperazione ed alla rabbia. Risultato? beh, una camera distrutta. Tanta rabbia che da inespressa, diventa di colpo visibile, accesa. Una vera e propria esplosione. Un vulcano che per anni ha taciuto e che ora, di colpo, erutta, distruggendo tutto. Ma come mai? Prima di rispondere a questa domanda, vediamo un po’…
Come capire se siamo di fronte ad una VGA:
- Preoccupazione: spende un enorme quantitativo di tempo a chiedersi quando potrà giocare di nuovo (in forma ruminativa), risultando irritabile, arrabbiato, ansioso o triste.
- Tolleranza: ha bisogno di giocare sempre di più, con nuovi equipaggiamenti, a nuovi giochi sempre più eccitanti, per avere lo stesso quantitativo di piacere nel giocare.
- Riduzione o stop: l’individuo sa di dover giocare meno, ma è incapace di farlo. Rinuncia ad altre attività ed ha perso interesse nello svolgimento di altre attività ricreative a parte il gaming. Nonostante giocare gli crei problemi anche molto grandi come problemi di sonno, di denaro, di orari a scuola o a lavoro, di argomenti con gli altri.
- Mentire o nascondere: l’individuo mente o nasconde quanto gioca quotidianamente ai videogiochi. Inoltre, utilizza il videogiocare come modalità di fuga rispetto alla realtà: problemi personali, depressione, ansia, situazioni di bullismo o mobbing.
- Perdita di opportunità o relazioni.
Trattamento VGA: virtual gaming addiction.
o per meglio dire: cosa avrebbe dovuto fare C.? Il trattamento di questa patologia può essere anche molto insidioso, poiché trattandosi a tutti gli effetti di una dipendenza togliere il device scatenerebbe soltanto una esplosione di rabbia molto forte. Privato del mezzo per gestirsi a livello emotivo, l’individuo potrebbe percepire un senso di minaccia, di paura e di ostilità molto forte. Il significato di questa particolare forma di dipendenza ha un senso profondo nel segnalare (da figlio/a a genitore) uno stato di sofferenza in maniera silenziosa, agendo su una vasta gamma di emozioni, che variano dal senso di colpa, alla tristezza e la rabbia: “se sto così, se non vivo, è colpa tua / che non mi hai aiutato, curato, come avresti dovuto / non sarò più com’ero prima / qualcosa si è rotto in me / il mondo fuori è pericoloso / non so che voglio fare del mio futuro / non ho voglia di fare niente”. Possono essere solo alcuni dei pensieri, delle emozioni e degli schemi di base sottesi alla VGA, che possono, a loro volta, innescare (o meno) dei disturbi specifici come la depressione maggiore, l’ansia o il ritiro sociale. I dati ci dicono che è uno dei disturbi con più rapida progressione, sia nel positivo (verso la guarigione!) che nel negativo (peggiora facilmente in altre diagnosi aggiuntive). Con le nuove tecnologie, questo disturbo per i casi più gravi può essere trattato sia con interventi domiciliari che con sedute online (se la persona è ritirata socialmente).
In conclusione, tramite C., e suo figlio e questa storia inventata, ho avuto modo di parlarvi di qualcosa di molto serio, di un problema reale che fa perdere anni di vita a tanti ragazzi ma che tramite un intervento tempestivo e con uno sguardo attento, tanti genitori possono prevenire. A volte il disagio adolescenziale può essere taciuto e sfogato in altri modi, rispetto ad un sano “Va a quel paese!” che tutti in adolescenza avremo detto o pensato almeno una volta. E questi modi, purtroppo, se accompagnati da una già presente difficoltà a comunicare, da una instabilità familiare, o da fenomeni esterni quali mobbing o bullismo, possono degenerare in un silenzio doloroso in grado di durare anni, ed in una dipendenza comportamentale che non è bene sottovalutare solo perché riguarda i videogiochi: tienilo #inMente!
Tienilo inMente è il blog del dottor Giuseppe Scuderi, psicologo clinico e digitale. È possibile interagire con lui attraverso i suoi social.
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