Ho sedici anni e gioco a pallacanestro. I miei amici non fanno sport, qualcuno gioca a calcio. Il basket è un pezzo della mia vita, mi dicono che sono troppo basso per giocare, ma non ne capiscono niente. I piccoli hanno la palla sempre in mano, creano il gioco: io non sono alto ma mi diverto lo stesso.
Gioco in squadra con i miei coetanei ed anche con quelli più grandi, poi c’è la prima squadra, ci sono i giocatori stranieri e tanti altri che arrivano da tante parti d’Italia. La prima squadra fa il campionato di A-2, tanta gente va a vederla la domenica al palasport. Io sogno di giocare con loro, un giorno: in serie A nella squadra della mia città.
Siamo sotto Natale e c’è il derby, forse il coach mi convoca. Ho lavorato bene, mi sono impegnato, il coach non guarda solo i grandi, viene a vedere pure noi ragazzi, anche perché solo da poco allena i grandi, fino all’anno scorso stava alle giovanili. E’ stato un giocatore importante, e io mi sento importante quando lui mi guarda, o mi dà dei consigli.
Hanno sbirciato nel foglio scritto a mano dal coach coi nomi dei convocati: c’è anche il mio, sarò solo il dodicesimo ma farò il riscaldamento con gli americani, davanti a tanta gente.
Mi hanno dato la maglia col numero 1: il numero mi piace un sacco, però è attaccato alla maglia col nastro adesivo. Mi sfotteranno tutti: il numero attaccato alla maglia col nastro adesivo, ma intanto sono stato convocato.
La partita sta andando bene, siamo stati sempre avanti, anche di tanti punti. Chissà, se alla fine avremo la partita in pugno magari mi fa entrare per qualche minuto, il coach quando può lo fa sempre. Forse pensa a quando aveva sedici anni lui, e viveva la partita dei grandi seduto in fondo alla panchina, sperando di mettere piede in campo.
Mancano pochissimi minuti alla fine, la partita ormai l’abbiamo vinta, o mi fa entrare adesso o non mi fa entrare più. Ma non si è girato a guardarmi, niente, deve essersi scordato. Pazienza, sarà per un’altra volta.
Cosa? Ha chiamato me? Sì, ha chiamato proprio me, al cubo del cambio. Manca poco più di un minuto, il gioco non si interrompe, mi sa che non faccio in tempo. Ora solo 40”, ma il mio compagno ha fatto fallo di proposito, per fermare il gioco e farmi entrare. Grande!
Sono in campo, se mi danno una palla tiro, se sbaglio chi se ne frega. Palla nostra, vado a sinistra, un passo dietro la linea da tre punti. Federico mi vede e me la passa, ho spazio, tiro da tre punti, se sbaglio chi se ne frega. Tiro e non vedo più niente, ma la gente grida, mi sa che ho segnato. Sì, ho segnato, mio padre laggiù salta come un grillo.
Torno a centrocampo e la partita è finita, mi corrono tutti incontro, ma io mi sento confuso e non ho la forza d’esultare. Che regalo di Natale mi ha fatto il coach. Anzi, il regalo me lo sono fatto io perché il canestro l’ho segnato io.
Ho sedici anni e gioco a pallacanestro e ho segnato un canestro da tre punti in serie A. Due giorni prima di Natale.
(Mi avevano chiesto di scrivere una storia di Natale, ma non mi veniva niente e avevo rinunciato. Ringrazio Salvo per essere stato, inconsapevolmente, fonte d’ispirazione).
Andrea Castellano