di Nicola Rinaudo: Franco e basta. Auci, per sempre. Il maestro di giornalismo e l’inarrivabile storico. Il fine catalogatore e l’ironico poeta. Il suo testamento, non solo morale: la storia del Trapani. Opera, in due volumi, edita tra il 2005 e il 2006. Un canto unico, con la narrazione che diventa lirica; con quest’ultima che si trasforma in allegoria. Una sorta di “Divina Commedia” (perdonateci l’accostamento irriverente).
Al centro della scena il Trapani calcio, i granata, ma anche le donne, gli uomini, gli usi, i costumi, le tradizioni, i vizi, le virtù di una città, per certi versi unica nel suo genere, a cavallo di due secoli. Anzi, di due millenni. E ancora il diritto alla trapanesità. A quelle radici, maldestramente e improvvidamente estirpate da un inqualificabile “viandante”; un lacerante grido di dolore, ma anche un accorato invito al rispetto della dignità, condensato mirabilmente in uno scritto dedicato all’ex mercato del pesce “a Chiazza”. Simbolo, appunto, di una trapanesità perduta.
Dodici anni fa, in una tiepida mattina d’inizio primavera, il 27 marzo del 2009, all’età di 67 anni, ci lasciava improvvisamente il più grande cronista sportivo – non ce ne vogliano gli altri – che questa città abbia mai potuto annoverare. È come se si fosse spenta una luce. Così, almeno, sembrava in principio. Ma, invece, si è acceso un faro. Perpetuo. Capace d’illuminare e stupirci. Ogni giorno.
Grazie anche all’intuizione della sorella Ina d’istituire il premio letterario “Franco Auci”, rivolto agli studenti delle scuole trapanesi, con l’obiettivo di diffondere tra i giovani la conoscenza del personaggio. E che personaggio! Al di là delle banalità, oggi, possiamo affermare con orgoglio e fierezza d’avere avuto la fortuna di conoscere un uomo che, con leggerezza d’animo e profondità di pensiero, ci ha rendicontato, per una vita, dell’eterno conflitto, in questa città, fra ricchi e poveri; fra padroni e sudditi. Proprio Lui, nemico dei compromessi e amico dei più deboli, ci ha condotto per mano nel ventre di una Trapani, a volte, inedita. In un viaggio oggettivo; tra ferite profonde, mai completamente rimarginate, e paradossi ingombranti. Ma capace, magicamente, di ricompattarsi, annullando ogni differenza sociale, sotto un’unica bandiera: quella granata. Miracoli dello sport.
Di fronte a cotanta grazia, come hanno risposto i trapanesi? I suoi concittadini? Come sempre, in maniera inadeguata. Solo l’intitolazione, poco dopo la sua scomparsa, della sala stampa dello stadio “Provinciale”. Poco, davvero troppo poco, per potere pensare d’estinguere il debito di riconoscenza nei confronti di un uomo che ha amato persone e cose del suo luogo natìo come pochi.
Ecco, allora, l’idea, neanche tanto originale, d’intitolare a Franco Auci una via cittadina. Proposta che giriamo al Prefetto, ai sindaci di Trapani ed Erice e ai rispettivi consiglieri. Dimostrate, egregi signori, rappresentanti delle istituzioni, di non stare lì, ai vostri posti, solo perché vi ci ha mandato qualcuno. Vi chiediamo solo di fare il vostro mestiere.
“Se c’è chi ne coltiva il ricordo una persona non muore mai”. Ecco perché, caro Franco, ci piace credere che, come ieri, come oggi, come domani, sarai sempre con noi. Anche se, ad onor del vero, non ti si vede in giro da un pezzo.