Deve la vita l’intervento di un assistente capo della polizia penitenziaria il detenuto 33enne di origine magrebina che, ieri pomeriggio, ha tentato di togliersi la vita impiccandosi in una delle celle del Reparto “Adriatico” della Casa circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani
A darne notizia è Gioacchino Veneziano, Segretario della UILPA Polizia Penitenziaria: “Grazie alla competenza dell’operatore di Polizia Penitenzieria addetto alla vigilanza del piano detentivo – commenta il sindacalista – si è evitato il peggio”. L’assistente capo coordinatore ha tolto il cappio dal collo all’uomo che era già privo di sensi prestando il primo soccorso.
Scattato l’allarme sono sopraggiunti altri poliziotti e i sanitari in servizio nel carcere trapanese. Il detenuto è stato dichiarato fuori pericolo e non è stato necessario trasferirlo in ospedale.
Il 45enne poliziotto penitenziario che è intervenuto ha alle spalle oltre vent’anni di servizio, di cui dieci nei reparti detentivi del carcere di Trapani.
“Non possiamo che complimentarci con il poliziotto del Pietro Cerulli di Trapani – prosegue Veneziano – che, senza ombra di smentita, ha messo in campo non comuni doti di coraggio, freddezza e capacità d’intervento, confermando la grande professionalità della Polizia Penitenziaria del carcere trapanese che, pur con gravi lacune di organico, con la mancanza di un Direttore in pianta stabile, del Comandante del Nucleo Operativo del Servizio Traduzioni e Piantonamenti in servizio effettivo, riesce a garantire l’esecuzione del proprio mandato”.
Plauso al poliziotto e ai suoi colleghi è stato espresso dal capo del Dap Dino Petralia, che ha lo ha raggiunto telefonicamente, e anche da Pino Apprendi, presidente di Antigone Sicilia, che nei giorni scorsi, insieme ad altri due rappresentanti dell’Osservatorio carceri dell’associazione a alla deputata Rosalba Cimino del Movimento 5 Stelle, hanno visitato le carceri di Caltanissetta, Sciacca e Trapani.
La delegazione ha segnalato, fra le criticità riscontrate, il maggiore disagio patito dai detenuti stranieri, spesso senza la famiglia vicino, che sperimentano serie difficoltà: dalla mancanza dei colloqui all’impossibilità di comunicare i propri problemi per l’assenza dei mediatori culturali in grado di comprendere la loro lingua e le loro necessità e farsene portavoce.