Eseguito stamane dalla Guardia di Finanza il sequestro dei beni aziendali relativi all’impresa agricola riconducibili al 73enne Vincenzo La Cascia, anche se formalmente condotto dalla moglie. Si tratta, in prevalenza, di terreni coltivati a oliveto nelle campagne di Castelvetrano, in contrada Latomie, il cui valore è quantificabile in circa 300.000 euro complessivi.
Il provvedimento – emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani – è frutto di approfonditi accertamenti patrimoniali condotti dai militari del Nucleo di Polizia Economica Finanziaria del Comando provinciale di Trapani sul conto di La Cascia che hanno consentito di accertare una sproporzione tra il suo “patrimonio disponibile” e il suo profilo economico/finanziario.
Secondo gli inquirenti, Vincenzo La Cascia ha avuto un ruolo di primo piano nella direzione della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara tale da determinare, nel maggio 2018, l’emissione nei suoi confronti di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Anno Zero”, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo.
I presupposti soggettivi della misura di prevenzione patrimoniale eseguita oggi dalle Fiamme Gialle risalgono a più tempo fa, quando l’uomo fu condannato in via definitiva, nel 2002, per associazione di stampo mafioso. Con quella sentenza si sancì la sua appartenenza a Cosa nostra già a partire dal 1998. In quella circostanza gli furono addebitati numerosi “reati-fine” commessi nell’interesse del clan come estorsione continuata, danneggiamenti e incendi dolosi.
Il ruolo di “campiere” ricoperto in passato da La Cascia per conto della famiglia Messina Denaro nelle campagne di contrada Zangara a Castelvetrano e i precedenti contatti avuti da quest’ultimo con lo stesso Matteo Messina Denaro, sia nel periodo precedente alla sua latitanza sia in epoca successiva, hanno consentito di poterlo considerare tra gli appartenenti alla ristretta cerchia degli uomini di fiducia del boss latitante, avendo La Cascia favorito anche la latitanza di altri componenti del mandamento mafioso di Castelvetrano.
Proprio in quel delicatissimo periodo storico, l’uomo si era adoperato per diramare gli ordini impartiti da Matteo Messina Denaro, di cui all’epoca era portavoce il fratello Salvatore, e di assicurare al mandamento mafioso il procacciamento e la custodia di armi e munizioni utilizzati per tutelare gli interessi criminali della famiglia mafiosa sul territorio.