Morto per cause naturali il “Berlusconi di Dattilo”, così era conosciuto nella frazione di Paceco il 62enne imprenditore Michele Mazzara.
Nel novembre 2020 era stato raggiunto, insieme alla moglie e ad un altro soggetto, da un provvedimento di sequestro di beni per un valore pari a circa 18 milioni di euro.
“Michele Mazzara era un semplice coltivatore trapanese che aveva fatto le sue fortune grazie alla mafia. Un’escalation economica dovuta all’investimento di capitali illeciti”, scrivevano di lui gli investigatori. Un impero costruito a partire dal quartier generale di Dattilo.
L’imprenditore era stato arrestato nel 1997 per associazione mafiosa, anche per aver coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro e Vincenzo Sinacori e aveva patteggiato una condanna a 14 mesi.
Nel dicembre 2013 era tornato dietro le sbarre con il blitz “Eden”: in primo grado fu condannato dal Tribunale di Trapani a quattro anni e tre mesi per “intestazione fittizia di beni”, poi in Appello la sentenza fu annullata per intervenuta prescrizione.
I beni di Mazzara, ritenuto vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro, erano già stati sequestrati e poi confiscati dai giudici di Trapani ma erano stati restituiti dalla Cassazione a causa di un vizio di forma avvenuto durante il processo d’Appello che si era svolto a Palermo.
In seguito al dispositivo della Cassazione i pm della Dda hanno formulato una nuova richiesta di sequestro preventivo che era stata eseguita nel novembre 2020 dai poliziotti della Divisione Anticrimine della Questura e dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trapani.
Agli atti del nuovo sequestro erano state depositate alcune intercettazioni, tra cui le conversazioni intrattenute da Michele Mazzara con Giovanni Risalvato, un castelvetranese che agiva in nome e per conto del boss latitante Matteo Messina Denaro.
Aggiornamento 25 maggio
Il questore di Trapani Salvatore La Rosa ha vietato i funerali pubblici per l’imprenditore, ritenuto vicino ad ambienti mafiosi.