Altro che bluff. Renè de Picciotto, magnate dell’accoglienza, resta in fiduciosa attesa, pur avendo deciso di non partecipare al bando comunale per la nascita del nuovo club che dovrà rappresentare Trapani nella stagione sportiva 2021-2022. In questa accorata lettera aperta alla città, l’ex banchiere ripercorre le tappe che lo hanno condotto in Sicilia e chiarisce la “bontà” delle sue intenzioni imprenditoriali.
Ecco le sue parole:
La decisione di non partecipare al bando del Comune per la rinascita del calcio trapanese, rimanda essenzialmente, ma non solo, alla portata dell’impegno economico richiesto (tra capitale iniziale, patrimonializzazione, garanzie bancarie e fideiussione assicurativa è una manovra che “blocca” ingenti capitali per diversi anni). Ma trova anche una giustificazione “nuova” nella sopravvenuta norma federale che impedisce, di fatto, la multiproprietà.
Com’è noto, sono titolare di quote (pari a quasi il 40%) dell’Us Lecce e potrei, dunque, “occuparmi” del rinato Trapani soltanto in serie D, venendo così subito meno all’impegno quadriennale previsto dal bando. Ma il mio interesse per il calcio rimane vivo. Perché è il calcio che mi porta a Trapani. Vale la pena ricordarlo a quanti in questi giorni carichi di aspettative per i tifosi della maglia granata, stanno tirando somme frettolose, confondendo i desideri (legittimi) con gli investimenti (altrettanto legittimi).
Sono stato invitato a considerare la possibilità di risollevare le sorti del calcio granata lo scorso ottobre. Il Trapani era già sparito dalla mappa del calcio nazionale. Non risultava iscritto ad alcun campionato e si apprestava a fallire. Mi fu prospettata l’ipotesi-Dattilo, ovvero la possibilità che la più alta espressione calcistica del comprensorio trapanese (serie D) potesse, nel rispetto della normativa vigente, “emigrare” a Trapani. Ma la trattativa con i dirigenti del Dattilo, dopo un primo approccio, si è arenata.
È, dunque, il calcio la molla, non altro. Grazie al calcio scopro Trapani, di cui conoscevo la storia, e ne rimango incantato. Comincio ad esplorare una terra di abbagliante bellezza. A capire la gente: i suoi riti, le sue passioni, la sua ospitalità. Una città davvero affascinante, unica nel suo genere. Mentre la esploro, resto folgorato dall’imponenza e dalla posizione dell’ex palazzo della Banca d’Italia, chiusa nel 2018, un immobile che risale agli anni ’50. E matura dentro di me l’idea di acquistarlo, ristrutturarlo e mettere le rinnovate potenzialità dell’edificio a disposizione del territorio. Operazione analoga, del resto, ho portato a termine con successo in Puglia.
Avvio così l’iter burocratico per l’acquisizione del palazzo che vorrei trasformare in una residenza di lusso. Iter che, dopo il via libera della Banca d’Italia, dovrebbe concludersi con l’ok al cambio di destinazione d’uso da parte del Comune e con il parere favorevole della Soprintendenza. Ma l’operazione palazzo ex Banca d’Italia non è (e non è mai stata) condizione vincolante al mio impegno nella rinascita del calcio trapanese. Semplicemente perché si tratta di “progetti” distinti e separati. A Trapani non esiste alcun “tesoro nascosto” da saccheggiare. Ma solo opportunità eventualmente da cogliere nel rispetto delle leggi e per il bene della comunità trapanese.
L’acquisizione e il rilancio dell’ex sede della Banca d’Italia rappresentano unicamente un investimento con ricaduta sul territorio in termini di accresciuta capacità attrattiva e di nuove opportunità lavorative. Insomma, un’occasione di sviluppo in tempi oggettivamente impervi, dove la mia scelta può anche sembrare quella di un folle visionario ma, in realtà, è solo animata da coraggio imprenditoriale e fiducia nel futuro. Futuro che non esclude l’impegno nel calcio, qualora dovessero ripresentarsi le condizioni per intervenire.